Scritto da p.Tommaso Pio Fatone | Categoria: A Proposito di Noi | Pubblicato il 21/05/2025
Che sapore ha Dio? Quale sapore ha quel Gesù che si fa pane e vino sugli altari per il nostro nutrimento spirituale? Se lo chiederanno magari i bambini prossimo alla loro prima comunione in queste domeniche di maggio e di giugno. E forse anche voi come me ripenserete spesso a quella che è stata la vostra personale esperienza nel ricevere per la prima volta quel sacramento, in cui è realmente presente il Signore Gesù.
Niente di particolare i nostri sensi assaporarono quel giorno, è ovvio; eppure, nonostante l'assoluta ordinarietà del sapore, quel che gustarono le nostre papille al momento di ricevere per la prima volta il sacramento, credo si sia fissato per sempre nella memoria sensoriale di ciascun fedele come il “sapore” di Dio.
Comprendemmo allora che se nell’eucaristia il Signore si presenta a noi non con un sapore, un odore e un colore particolare se non quelli poveri di un’ostia, magari intinta nel vino (anche se ai miei tempi ci veniva data solo l’ostia) - come ci insegna la teologia parlando di “accidenti” - è perché in fondo Egli vuol entrare in noi e nelle nostre esistenze nell’ordinarietà delle cose semplici, per farci innamorare di Lui col solo fascino di un mistero che va colto nella fede e vissuto in quello stesso amore che il Cristo ha manifestato sulla croce.
Eppure non c'è sapore che si ricordi di più di quello quasi impercettibile dell’eucaristia - banchetto che tuttavia la profezia messianica aveva preannunziato come "un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati" (Is 25,6). Eppure di quel giorno benedetto non sarà il gusto - per quanto squisito possa essere - del banchetto al ristorante che ne seguirà, né qualsiasi altra cosa a essere più ricordati, quanto piuttosto quel sapore “tanto ordinario quanto divino” dell’eucaristia!
Chissà se i bambini di oggi a scuola scriveranno, come noi, che il giorno più bello della loro vita (se ancora si usa dare certi temi agli scolari) è stato quello della prima comunione. Dovremmo però tornare a crederlo noi, che col passare del tempo abbiamo perso la semplicità dei piccoli; noi che, come gli israeliti che nel deserto disprezzarono la manna - prefigurazione dell’eucaristia - non abbiamo saputo apprezzare abbastanza il supremo sacramento, divenuti incapaci di percepirne il sapore.
Quel che rimane nel cuore invece non è ciò che seduce prepotentemente i sensi, ma l’umile delicatezza di un Dio che ci ama così tanto da ridursi a poca cosa per la nostra salvezza. Ci conquista, in fondo, con quella sapienza della croce che sola ci fa gustare il sapore delle cose vere, delle cose di Dio.
San Paolo scrive a questo proposito:
“Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l'ha conosciuta; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1Cor 2,6-10).
Il gusto semplice dell’eucaristia ci fa comprendere in fondo che il bello della vita non sta tanto nelle cose straordinarie, ma nel saper percepire lo straordinario nelle cose ordinarie, nell’umiltà e nella povertà di spirito, portando con amore la propria croce. Ecco perché la vita vera e bella può essere solo quella incentrata sull’eucaristia.
Desideriamo allora sempre più quel sapore “tanto ordinario quanto divino” che solo sa donarci la vera gioia, e ogni giorno della nostra vita sarà sempre il più bello!