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Scritto da Maria Bandinu | Categoria: Bibbia

Dopo aver mostrato una panoramica generale sul mondo profetico in Israele, ci imbattiamo ora nell’esperienza di vita di alcuni profeti iniziando dal profeta Osea. L’attività profetica di Osea si svolge nel VIII secolo a.C. negli ultimi anni del regno di Geroboamo II. La situazione religiosa vede il sincretismo con i culti cananei e il peccato d’idolatria. Ancor di più, l’accusa interessa il culto che si separa completamente dall’osservanza della Legge. Al contrario, YHWH vuole la relazione col popolo e chiede la conversione del cuore che si esplica nell’osservanza della giustizia secondo la Legge.

Osea presenta il messaggio di Dio insito nella cornice d’amore tra Dio e il popolo. Chiave di questo messaggio è la metafora sponsale a cui il profeta è chiamato, chiamato da Dio a prendere in sposa Gomer, una prostituta, e a generare con lei figli di prostituzione. Nella pericope, l’ordine del Signore è chiaro, il comando è in forma imperativa, la scelta nasce da Dio che cambia lo stato di vita del profeta, per cui, il matrimonio sembra essere insieme evento di vocazione e segno per Israele. Cosi dice il Signore ad Osea: "Và, prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore; (Os 1,2). E’ sulla scia di queste parole che possiamo collocare la vocazione profetica di Osea, nel suo vissuto personale e familiare, nel contesto di un amore tradito ma capace di ricreare nuova vita grazie al dono d’amore puro e fedele dello Sposo nonostante i peccati della sposa. E’ un segno questo chiedeve parlare al popolo, deve parlare di un amore fedele difronte a chi porta i segni d’infedeltà, mettendo cosi in luce la corruzione che pervade Israele e al tempo stesso vi oppone l’amore fedele di Dio nei confronti del suo popolo eletto. Sempre seguendo l’ordine del Signore, il racconto prosegue presentando i figli di Osea, “figli di prostituzione”, i cui nomi imposti dal Signore divengono un monito e un simbolo per Israele. Nel nome, infatti, è racchiusa l’identità precisa e al contempo un’azione che ha Dio per protagonista. Il nome del nascituro anticipa ciò che Dio sta per compiere come esplicitazione del giudizio che Egli ha espresso verso Israele a causa del suo peccato d’infedeltà, l’idolatria. Il primo figlio ha il nome di Izreèl che significa “Dio semina” ma richiama il luogo sanguinario che ha visto molte guerre e tanta violenza. Cosi il Signore dice ad Osea: «Chiamalo Izreèl, perché tra poco punirò la casa di Ieu per il sangue sparso a Izreèl e porrò fine al regno della casa d’Israele»(Os. 1,4). La seconda figlia viene chiamata “Non-amata” proprio perché nel giudicare il regno d’Israele, il Signore non ne avrà compassione in modo da scongiurare la sua rovina totale. Infine, il terzo ha il nome di “Non popolo mio” perché Israele sarà trattato non più come il popolo eletto di Dio ma, come una delle altre nazioni pagane che Israele ha voluto imitare nell’idolatria. Nonostante tutto, il Signore non riesce a spegnere l’amore che ha per Israele e non si rassegna all’abbandono, cosi come Osea non riesce a spegnere il suo amore verso Gomer, e spera che essa, delusa dai suoi amanti ritorni a lui. Cambia in modo radicale la situazione precedente. Lo sposo decide di fare nuovamente la corte alla sua amata, per riconquistare il suo cuore come aveva fatto al tempo del fidanzamento, ed il deserto diviene il luogo ideale per far rifiorire il dialogo tra i due. Sono di una bellezza prorompente le parole del profeta immaginando quel giorno tanto atteso: «Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os. 2,16).

Nell’immagine sponsale di Osea e Gomer possiamo mettere in luce quattro fasi dell’amore tra Dio e il suo popolo: il primo amore, la rottura, la condanna e la salvezza. La prima fase è quella del loro primo amore, amore che è stato dichiarato da Dio verso il popolo nel momento della liberazione dall’Egitto: «Eppure io sono il Signore, tuo Dio, fin dal paese d'Egitto. Ti farò ancora abitare sotto le tende, come ai giorni dell'incontro nel deserto». (Os. 12,10).

La seconda fase è la fase della rottura. Nel momento in cui i due amanti potevano stare nella loro terra, lei inizia ad essere infedele. Il profeta mette in evidenzia che la condizione attuale è conseguente ad una frattura di questa relazione d’amore. Osea, in un cammino a ritroso ritrova tanti momenti in cui Israele si è allontanato da Dio, risalendo fino al patriarca Giacobbe: «Il Signore è in causa con Giuda e punirà Giacobbe per la sua condotta, lo ripagherà secondo le sue azioni» (Os. 12,3).

La terza fase è quella della condanna. Gli oracoli di Osea annunciano la conseguenza disastrosa di Israele che, allontanandosi dalla relazione con Dio si avvia verso una graduale distruzione. Il castigo sembrerebbe l’ultima parola ma come sempre Dio ci meraviglia anche nelle situazioni più drammatiche, perché l’amore del Signore è più forte di tutte le infedeltà dell’uomo.

Non per questo, l’ultima fase è la fase della salvezza. Alla sentenza del castigo è collegata la sentenza definitiva della salvezza. Quest’ultima è un evento che può realizzarsi solo tornando al tempo del fidanzamento, alla fase del primo amore, nel luogo del deserto dove tutto ebbe inizio. Cosi, con parole di un amore eterno, Dio annuncia per bocca del profeta un’alleanza sponsale: «Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore» (Os. 2,21).

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